assoRinnovabili si dice incredula in merito alla possibile adozione del decreto spalma incentivi, che sarebbe stato inserito nel decreto legge omnibus discusso venerdì 13 giugno.
Di fatto, la norma nasce con l’obiettivo di ridurre le bollette alle Piccole e Medie Imprese, ma, a conti fatti, taglia le risorse destinate agli impianti solari già funzionanti, causando il licenziamento di almeno 10.000 lavoratori.
Secondo l’associazione si tratta di un inaccettabile provvedimento retroattivo che allontana definitivamente gli investimenti dall’Italia, diminuiti già del 58% dal 2007, danneggia la credibilità del Paese e tradisce la certezza del diritto.
assoRinnovabili evidenzia come il provvedimento sia contro l’Unione Europea e contro la Costituzione Italiana.
A tal proposito il Presidente Emerito della Corte Costituzionale, Valerio Onida, ha formulato un parere sulla legittimità costituzionale dello “spalma incentivi” obbligatorio. Il Professore Onida ritiene che un simile provvedimento violerebbe sia le norme costituzionali in materia di retroattività e di tutela dell’affidamento, sia gli obblighi internazionali.
La misura in discussione si configurerebbe come un intervento su rapporti di durata già cristallizzati in contratti di diritto privato (le convenzioni con il GSE), o comunque su decisioni già assunte dai produttori, che hanno effettuato investimenti e contratto oneri in base a previsioni economiche di cui l’aspettativa dell’incentivo è parte determinante. Ciò risulterebbe in contrasto con i limiti costituzionali alla retroattività delle leggi, con il principio – connaturato allo Stato di diritto e riconducibile agli artt. 3 e 41 della Costituzione – di tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti che hanno avviato un’iniziativa energetica, nonché con l’esigenza di certezza dell’ordinamento giuridico.
Lo “spalma incentivi” apparirebbe in conflitto con gli obblighi internazionali derivanti dal Trattato sulla Carta Europea dell’Energia (reso esecutivo in Italia con la legge 10 novembre 1997, n. 415), e quindi anche con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, poiché violerebbe l’impegno assunto dagli Stati firmatari (tra cui l’Italia) ad assicurare agli investitori “condizioni stabili” oltre che “eque, favorevoli e trasparenti”, per lo sviluppo delle proprie iniziative. Ciò impone che gli investimenti, che devono godere della “piena tutela e sicurezza”, non vengano colpiti da modifiche (in senso deteriore) delle condizioni giuridiche ed economiche in base alle quali sono stati effettuati.
I vizi di costituzionalità, conclude il Professor Onida, sussisterebbero anche nell’ipotesi in cui venisse prolungata la durata dell’incentivo, a compensazione della riduzione del suo valore. Secondo l’autorevole costituzionalista, infatti, “un credito non ha lo stesso valore quale che sia il tempo in cui viene soddisfatto”. Inoltre, se l’investimento (come accade nella maggioranza dei casi) è finanziato da un credito bancario, la misura, incidendo autoritativamente su tale rapporto, potrebbe rendere impossibile per i produttori far fronte agli impegni assunti con gli istituti di credito.
Secondo l’Associazione, le censure di illegittimità sopra richiamate sussisterebbero anche nel caso in cui i produttori fossero costretti dal decreto a scegliere tra una norma “spalma incentivi” (apparentemente volontaria, dunque) e un’ulteriore imposta (che dalle ipotesi che circolano potrebbe addirittura avere i ricavi come base imponibile).