Carlo Giuliano, Project Manager di Axiante, esamina le tendenze di ottimizzazione dell’assortimento dei prodotti per i consumatori, in un’ottica di sostenibilità.
Negli ultimi anni, l’attenzione di tutti verso la sfida della sostenibilità ambientale si è tradotta nell’adottare comportamenti virtuosi imposti dai cambiamenti climatici, sempre più evidenti anche nel nostro Paese, e da una crescente cura verso il benessere e la salute anche alimentare.
Un trend che trova riscontro nel report “Fragilitalia” elaborato da Area Studi Legacoop e Ipsos con il supporto anche del Circular Economy Network-Fondazione per lo Sviluppo sostenibile, sull’evoluzione delle opinioni relative al tema “Consumi e Green”. Indagine che conferma che 8 italiani su 10 sono favorevoli a una transizione ecologica, ma soprattutto che le loro scelte di shopping sono sempre più green: 4 italiani su 10 fanno acquisti ecosostenibili.
Questo cambiamento ha un impatto significativo sulle insegne soprattutto del largo consumo dal momento che già da tempo si trovano a dovere adattare le proprie strategie per rispondere ai nuovi comportamenti dei consumatori. I dati di mercato confermano infatti la preferenza crescente verso i prodotti bio, locali, vegetali e a km zero e nello stesso tempo come la scelta della composizione del carrello sia condizionata anche da aspetti come la riciclabilità delle confezioni, l’impatto ambientale della produzione dei beni e iniziative sostenibili dei brand.
Le insegne devono quindi identificare fornitori che possano garantire prodotti che soddisfano i nuovi criteri e le nuove abitudini, selezionando prodotti con caratteristiche sostenibili e che, per cominciare, prevedano formule di confezionamento innovative, come buste di carta o bottiglie di plastica riciclata, lattine in alluminio riciclabile, e contenitori biodegradabili. Visto che quasi il 90% dei materiali inquinanti dei mari è composto da plastica, alcuni produttori stanno quindi utilizzando proprio quella recuperata per i loro packaging mentre numerose start up stanno immettendo sul mercato materiali alternativi e assolutamente amici dell’ambiente come alghe che possono persino aiutare a ricostituire gli ecosistemi oceanici. Soluzioni green che sono peraltro stimolate dalle stesse istituzioni. In ordine temporale, il 3 luglio scorso è entrato in vigore l’obbligo UE di dotare tutte le confezioni in plastica per bevande con capacità fino a tre litri, di tappi ancorati all’imballaggio.
Un ulteriore aspetto che deve essere preso in considerazione sono le certificazioni di sostenibilità come l’ISO 14001 o l’UNI 11233 Produzione Integrata oppure la Fair Trade, in grado da un lato di confermare l’“anima” green dell’insegna aumentandone la reputazione, dall’altro di aiutare a intercettare le aspettative dei consumatori a tutela dell’ambiente. Inoltre, sempre più aziende redigono bilanci di sostenibilità con cui si fanno carico di raggiungere i risultati economici classici ma anche degli impatti delle proprie attività da un punto di vista ambientale, sociale ed etico.
Non si può dimenticare la sostenibilità
Diventa così evidente che, se fino a qualche anno fa i retailer della GDO avevano l’obiettivo di delineare un mix ottimale di prodotti per soddisfare al meglio i propri clienti e aumentare vendite e redditività prescindendo dagli aspetti ambientali, oggi dimenticare il tema della sostenibilità è rischioso, soprattutto per il futuro.
Ciò però comporta un aumento dei criteri di selezione dell’assortimento che devono essere presi in considerazione: origine degli ingredienti (vegetale, vegetale biologico, animale), materiale del packaging (riciclabile, riutilizzabile, non recuperabile), sensibilità green del brand, cluster dei clienti (molto interessati all’ambiente, interessati, neutrali, non interessati), e così via.
Ma non è tutto perché ciascun item va inserito in una scala di valori, in un modo da poter calcolare uno o più indici numerici della sostenibilità del prodotto per facilitare così i confronti. Assegnando un opportuno peso a ognuno degli indici considerati, si potranno inoltre gestire in maniera programmatica le variazioni da apportare all’assortimento. Tutto ciò richiede a monte un lavoro di standardizzazione e pulizia dei dati e soprattutto l’adozione di un buon software di Assortment Optimization.
L’ottimizzazione dell’assortimento consiste nell’individuare il giusto mix di prodotti per ciascun canale e per quel preciso momento. Un processo che ovviamente presuppone la disponibilità e l’analisi di un gran numero di dati, ovviamente impensabili da gestire tramite un semplice foglio Excel, anche in considerazione della rapidità con cui si muovono i mercati, le abitudini dei consumatori, le linee dei prodotti e come abbiamo detto prima, della necessità impellente di considerare l’attenzione crescente dei clienti all’ambiente.
Navigare in questo labirinto necessita di soluzioni informatiche in grado di tenere conto di tutti questi criteri fornendo ai Category Manager nuovi insight in grado, grazie all’automazione e agli algoritmi, di aiutarli a ottimizzare l’assortimento e relative vendite e profitto, anche rispetto gli item di sostenibilità individuati.
Va infine evidenziato che i software di Assortment Optimizazion permettono alle insegne di limitare il fenomeno della proliferazione delle SKU che non si traduce solo in inefficienze gestionali e finanziarie ma anche nella generazione di sprechi, a cominciare da quelli di beni deperibili, nemici dell’ambiente.