Crisi climatica: ENI aumenta la produzione di gas e petrolio

ENI punta a incrementare la produzione di petrolio e gas, spingendo sui nuovi combustibili fossili e aumentando così il proprio contributo alla crisi climatica.

petrolio

Durante il Capital Markets Update 2025, ENI ha confermato di non avere nessuna intenzione di cambiare passo verso la necessaria transizione energetica basata sulle energie rinnovabili. L’azienda guidata da Descalzi punta, invece, a incrementare la produzione di petrolio e gas e a spingere sulle esplorazioni di nuovi combustibili fossili, aumentando così il proprio contributo alla crisi climatica in corso.

Greenpeace Italia e ReCommon
Dalla presentazione emerge che nel 2024 le estrazioni di combustibili fossili di ENI sono aumentate rispetto al 2023, un trend che l’azienda non intende affatto invertire. Come annunciato oggi, l’obiettivo è infatti un incremento della produzione del 3-4% annuo fino al 2028, per poi mantenere gli stessi livelli fino al 2030. Un cambio di strategia che sposta il picco di crescita delle estrazioni fossili dal 2027 al 2028 e porta con sé un’unica certezza: estrarre di più significa inquinare di più, e dunque accrescere la responsabilità di ENI nella crisi climatica.

Mentre il colosso italiano del gas e del petrolio si presenta come un’azienda “green“, in base ai numeri la storia è invece diversa. Dal 2023, la capacità installata di rinnovabili è passata da appena 3 GW a 4,1 GW, con un target modesto di 15 GW al 2030, e una crescita di poco meno di 2 GW annui. Nello stesso periodo, la sola produzione di gas peserà per il 60% del portafoglio aziendale. Nessuna transizione, dunque, secondo Greenpeace Italia e ReCommon, bensì il solito modello industriale che da più di settant’anni alimenta il riscaldamento del pianeta.

Carbon Capture and Storage

Grande protagonista del piano strategico presentato da ENI è la Carbon Capture and Storage (CCS – cattura e stoccaggio della CO2), spacciata come soluzione salvifica a partire dai progetti di Ravenna e Hynet nel Regno Unito, mentre in realtà, secondo  Greenpeace Italia e ReCommon, si tratta di una tecnologia sperimentale costosa, rischiosa, inefficiente e totalmente inadatta a fronteggiare l’emergenza climatica. Non poteva mancare infine un grande cavallo di battaglia di ENI, la fusione nucleare: ancora lontana nel tempo, che, secondo quanto affermano Greenpeace Italia e ReCommon, nella migliore delle ipotesi non sarà disponibile prima della seconda metà del secolo, quando ormai sarà tardi per affrontare una crisi climatica che si aggrava di giorno in giorno.

Greenpeace Italia e ReCommon
ENI celebra utili in crescita, portando a casa un avanzo di 5 miliardi, mentre la crisi climatica peggiora, gli italiani e le imprese sono costretti a pagare bollette energetiche sempre più salate e il governo fatica a trovare fondi per contenere i prezzi dell’energia, il cui costo in Italia è ancora legato al gas fossile. A pagare il prezzo dei guadagni di ENI siamo dunque tutti noi, sia a livello economico che climatico e ambientale.