Outlook Biometano 2024 di Energy&Strategy School del PoliMi

Le 4 aste su 5 per il biometano finora concluse hanno registrato una capacità produttiva assegnata nettamente inferiore al contingente disponibile.

Biometano

In Italia c’è grande interesse per la produzione e l’utilizzo del biometano, considerato una soluzione ad alto potenziale per la decarbonizzazione di diversi settori e tutto sommato semplice da adottare, perché non richiede cambiamenti tecnologici e investimenti infrastrutturali sostanziali per il suo sfruttamento, ma la semplice immissione nella rete esistente di distribuzione del metano. Sul nostro territorio insistono già 115 impianti di biometano allacciati alla rete del metano, di cui 77 al Nord, 13 al Centro e 25 al Sud, per una capacità produttiva totale di quasi 67.000 Smc/h (standard metri cubi all’ora): sono dati ufficiali relativi alla grande maggioranza degli impianti, anche se non tutti.

#Impianti Taglia media [Smc/h] Produz. media Immessa in rete [Smc/h]
NORD 77 887 49.285
CENTRO 13 365 6.815
SUD 25 482 10.726
Totale 115 759 66.826

Impianti di biometano allacciati alla rete in Italia per numero, taglia media e produzione media immessa in rete (Smc/h = Standard metri cubi/ora)

Paolo Maccarrone,  Direttore scientifico dell’Outlook Biometano 2024, redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano
La produzione di biometano immessa in rete al momento equivale a circa 570 milioni di metri cubi/anno, un valore ben lontano dagli obiettivi contenuti nel PNIEC che la fissano a 5,7 miliardi di metri cubi/anno entro il 2030, con un focus sui consumi nei trasporti e nella produzione di energia termica per settori industriali difficili da decarbonizzare (hard-to-abate).

Per accelerare lo sviluppo del settore, il governo italiano ha quindi varato nel 2022 un apposito Decreto (DM del 15/09/2022) che disciplina l’accesso alle risorse stanziate nell’ambito del PNRR, pari a 1,73 miliardi di euro, tra il 2023 e il 2025, finalizzate sia alla riconversione di impianti di biogas già esistenti, sia alla costruzione di nuovi, attraverso un meccanismo di aste competitive. Il Decreto prevede due tipologie di incentivi: un sostegno in conto capitale e una tariffa incentivante per il biometano prodotto. Tuttavia, le 4 aste (su 5) finora concluse hanno registrato una capacità produttiva assegnata inferiore al contingente disponibile e pari a circa 176.000 Smc/h, valore a cui vanno sottratte le rinunce, per cui il contingente effettivo è pari al momento a 122.270 Smc/h (circa un miliardo di metri cubi/anno).

Un trend che vede l’Italia in ritardo rispetto alla capacità attuale delle vicine Francia e Germania. Il biometano infatti è anche al centro delle politiche europee: l’obiettivo al 2030 – sfruttando le risorse del piano REPowerEU – è raggiungere i 35 miliardi di metri cubi di produzione, per favorire la transizione energetica, ma anche rafforzare la sicurezza energetica del continente, priorità emersa con urgenza a seguito del conflitto russo-ucraino. Target specifici sono poi stati definiti per la penetrazione del biometano in settori chiave come quello marittimo e l’aviazione, per promuovere l’adozione di combustibili di origine biologica.

Paolo Maccarrone
In un contesto di transizione energetica sempre più urgente, il biometano rappresenta una straordinaria opportunità per combinare sostenibilità ambientale, sicurezza energetica e valorizzazione delle risorse locali. Ma il pieno sviluppo di questa filiera richiede un impegno strategico condiviso, capace di superare barriere economiche, normative e logistiche per trasformare un potenziale promettente in un pilastro concreto della decarbonizzazione.

Tornando alle richieste di autorizzazione, la maggior parte riguarda impianti di biometano di nuova realizzazione: pur condividendo le stesse materie prime, nonché parte del processo di produzione, la conversione (o “upgrade”) degli impianti a biogas per la produzione di biometano non è infatti né semplice (per l’incremento di spazio necessario a ospitare il sistema di upgrading, per lo stoccaggio del digestato) né conveniente sotto una soglia dimensionale minima (o sopra una determinata distanza dalla rete di distribuzione del metano).

Inoltre, esistono sistemi di incentivazione anche per gli impianti a biogas, in particolare sotto forma di prezzi minimi garantiti (PMG) per l’energia immessa in rete. Questo “conflitto” tra sistemi di incentivazione è tra le ragioni che hanno portato a un numero di proposte di riconversione estremamente limitato nelle prime aste: i gestori di tali impianti, infatti, stavano attendendo la pubblicazione della nuova tariffa per l’immissione di energia elettrica in rete per valutare il da farsi.

La filiera del biometano

La filiera del biometano risulta piuttosto articolata e flessibile perché le materie prime utilizzate sono di natura differente (scarti di produzione agricola, reflui zootecnici, rifiuti organici urbani) e, anche se ci si limita agli impianti alimentati da derivazioni di scarti agroindustriali e zootecnici, esiste una grande variabilità nel mix di input (le cosiddette “ricette”). Questo consente una notevole capacità di adattarsi al contesto, caratterizzato da numerosi fattori di incertezza (la disponibilità di materie prime dipende dal mercato e da variabili esogene, come gli eventi atmosferici estremi), ma comporta al tempo stesso una complessità logistica non indifferente. A sua volta, la distribuzione del metano può avvenire tramite immissione nella rete esistente, con pipeline dedicate o attraverso carri bombolai, con logistiche e costi molto diversi.

Un altro tema sensibile è quello dello smaltimento dei prodotti di scarto del processo di generazione del biogas e quindi anche del biometano, il cosiddetto digestato, che viene usato come fertilizzante dei terreni agricoli e che, con l’aumento degli impianti per numero e capacità, deve trovare superfici di spandimento sempre più grandi, compatibilmente con il fatto che ci sono dei limiti alla quantità di digestato utilizzabile per ettaro, legati alla presenza più o meno alta di nitrati. E poiché i costi legati allo spandimento sono a carico del produttore, la localizzazione dell’impianto è fondamentale per limitare le spese logistiche e di stoccaggio.

Tuttavia, se anche venissero realizzati tutti gli impianti vincitori delle aste e mantenuti quelli esistenti, la superficie agricola disponibile a livello nazionale per lo spandimento risulterebbe ben superiore a quella necessaria, evidenziando che il potenziale di produzione di biometano in Italia è significativamente più alto rispetto allo scenario attuale, che include anche gli impianti autorizzati ma non ancora costruiti. A livello locale, invece, una forte crescita della capacità installata potrebbe portare a situazioni di stress della filiera, con ripercussioni potenziali sulla continuità operativa e sui costi di gestione dell’impianto.

L’analisi economico-finanziaria

È stato poi messo a punto un modello economico-finanziario per valutare il ritorno dell’investimento di un impianto a biometano. Gli incentivi statali giocano un ruolo cruciale nella profittabilità e nell’attrattività degli investimenti, poiché riducono l’entità dell’investimento iniziale e ne incrementano i ricavi, rendendolo potenzialmente più competitivo rispetto ad altre fonti di energia. Tuttavia, vi sono diversi elementi di incertezza che possono impattare in modo rilevante sull’effettivo ritorno dell’investimento: innanzitutto la forte variabilità del capitale iniziale (CAPEX) necessario per costruire un impianto, che può variare di diversi milioni di euro a seconda delle specifiche condizioni del progetto (tipologia dell’impianto, localizzazione, distanza dalla rete, ecc).

Vi sono poi vari fattori che pesano sui costi di gestione (OPEX), quali ad esempio la disponibilità e il prezzo delle materie prime (che cambiano in base alla località e alla stagione), il costo dello spandimento del digestato (legato alla logistica e alle caratteristiche del territorio), le specificità delle normative locali, i cui vincoli possono incidere negativamente sui costi o  limitare le potenzialità operative degli impianti. Tutto questo contribuisce a incrementare il rischio del progetto di investimento, rendendo meno attrattivi gli schemi incentivanti attuali e rallentando la crescita del settore.

Le figure seguenti riportano l’andamento dei principali indicatori di attrattività di un investimento (l’Internal Rate of Return – IRR – e il PayBackTime – PBT) al variare del costo delle materie prime, in relazione a differenti “mix” delle stesse: al crescere del costo delle materie prime, in alcuni scenari  l’IRR scende rapidamente a valori inaccettabili per l’investitore, mentre il tempo di ripagamento sale velocemente, avvicinandosi  o addirittura superando la durata del periodo di incentivazione (15 anni). Ne consegue che l’efficacia del sistema di incentivazione dipende anche dalla capacità di mitigare i rischi derivanti dai fattori di incertezza legati alla filiera logistica, al costo delle materie prime e alla dimensione dell’investimento iniziale.

Inoltre, la durata del sistema di incentivazione (con riferimento in particolare il prezzo garantito di vendita del biometano) è di 15 anni, mentre la vita utile di un impianto è stimata in 20 o più anni: questo significa che oltre il quindicesimo anno di operatività non si beneficia di alcun sostegno economico diretto. Ciò riduce notevolmente il ritorno complessivo dell’investimento, come evidenziato nella tabella sottostante, in cui si confronta il valore dei principali indicatori di ritorno di un investimento nell’ipotesi di vita utile dell’impianto, rispettivamente pari a 15 e 20 anni.

Dunque, in base alle ipotesi fatte analizzando l’andamento dei prezzi di mercato del metano e dei costi operativi, gli impianti non sembrano economicamente sostenibili in assenza di incentivi: qualora non ne venissero introdotti di nuovi, è forte il rischio che gli impianti vengano “spenti” al termine del quindicesimo anno. Anche per questo, è chiaro come sia di fondamentale importanza avere chiarezza sulle politiche di sviluppo del settore nel lungo termine.