Il 21 giugno scorso è stato pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale, il Decreto del Fare. Nel decreto è stata inserita anche la Robin Tax, allargata a piccole e medie imprese energetiche che abbiano un fatturato di almeno 3 milioni di Euro annui e profitti di almeno 300mila Euro lordi.
La famigerata tassa colpirà diverse società che operano nel settore delle energie rinnovabili in un momento in cui gli incentivi sono in scadenza.
Per quest’anno, l’imposta è pari al 10,3%, mentre si stima che nel 2014 possa registrare un calo fino al 6,5%.
La motivazione dell’inserimento di tale tassa sarebbe la necessità di calmierare le bollette energetiche e alleggerire i costi sui consumatori.
Si stima che dall’imposta si dovrebbe ricavare un gettito di 150 milioni di Euro nel 2015, ai quali dovranno essere sommati 75 milioni nel 2016. Nello specifico dovrebbero essere ridotti i costi legati alle operazioni di smantellamento del nucleare, le cosiddette componenti A2.
Gli operatori, soprattutto quelli appartenenti al settore del fotovoltaico, sono in uno stato di allarme, poiché nella tassa rientreranno diversi impianti sparsi sul territorio a partire dai 300 kW di potenza.
Il presidente di Assosolare, Giovanni Simoni, ha così commentato la pubblicazione del decreto: “Sarebbe opportuno fare la massima chiarezza sulla fonte di tali proposte e verificare se, lo dico solo nell’interesse del Paese, possano convivere nelle istituzioni pubbliche soggetti che, protetti dall’anonimato e chiusi nelle loro stanze, elaborino proposte che la Politica boccia quasi interamente”.
Secondo Simoni, se fossero state approvate proposte “basse”, vi sarebbe stata letteralmente una morte del settore. Anche se il limite è stato fissato a 3 milioni di Euro annui, Robin Tax colpirà il settore fotovoltaico che, come affermato dallo stesso Simoni, è già in crisi: “La fine dei contributi diretti alla produzione di energia elettrica e la consultazione dell’Autorità per l’Energia sulle reti SEU e private, dalla quale “traspare” la volontà e il tentativo di bloccare lo sviluppo della Generazione Distribuita. C’è da chiedersi se queste misure siano compatibili con le indicazioni europee o addirittura con gli obiettivi espressi nella Strategia Energetica Nazionale”.
Dal nuovo decreto, inoltre, si evince che gli inceneritori sarebbero favoriti da una modifica nel calcolo del CEC, ossia il costo evitato di combustibile, sul quale si basano gli incentivi.
Come è scritto nella proposta di legge stessa, la modifica “non varrà per gli impianti di termovalorizzazione di rifiuti in convenzione Cip 6/92 che si trovino oggi nei primi 8 anni dell’esercizio in convenzione, dunque siano ancora nella prima fase di recupero dell’investimento effettuato”. Tali impianti riceveranno un incentivo maggiore.
Simoni ha voluto concludere con un ammonimento al Governo: “Se mettiamo insieme la fine degli incentivi, l’introduzione di una nuova tassa e la deliberata intenzione del regolatore di limitare al massimo lo sviluppo di attività di decentralizzazione produttiva, ci troveremmo di fronte a un quadro di nuovi pesanti ostacoli all’ulteriore sviluppo delle rinnovabili, mentre da ogni parte politica, con poche eccezioni, si continua a declamare la loro importanza per il futuro energetico del Paese”.